Esperienze di comprensione e superamento del limite >> VIDEO (Regia Donato Chiampi)
Protagonista di questo film, intitolato “Opportunity” è un gruppo di persone che ha dato vita a un laboratorio intitolato “Dal Limite il di più”. In questo film condividono le loro esperienze di comprensione e superamento del limite. Riportiamo qui la trascrizione integrale del film con descrizione testuale delle immagini (che può essere anche scaricata >> PDF DOCX)
ANTONELLA
Descrizione delle immagini che compaiono durante il discorso di Antonella.
Una donna con i capelli corti castani. Indossa una camicetta a righe blu e bianche. Mentre ci parla, dal balcone di un vecchio palazzo, vengono presentate scene di Marostica, una città italiana: 1) vista dall’alto di vecchie case, dei loro tetti e dell’area verde. 2) Una grande scalinata davanti a un vecchio edificio. 3) In lontananza, due donne camminano sul marciapiede di un cortile e una di loro è appoggiata a un deambulatore. 4) Gradinate intorno a una piazza circondata da case. 5) Uomini su impalcature stanno montando delle tribune sulla piazza. 6) All’interno di un museo ci sono manichini in abiti storici. 7) Antonella cammina con l’appoggio di un deambulatore 8) Case a schiera viste da lontano e da vicino. 9) Torri, mura del castello appaiono tra gli alberi. 10) Veduta della città vecchia dall’alto di una torre.
Sono Antonella, sono sposata con Maurizio e abbiamo una figlia. Abitiamo a Marostica e lavoro come impiegata. Mi piace viaggiare, conoscere, amo la natura, i suoi colori, i suoi paesaggi. La mia vita è una vita normale e un po’ speciale, perché fin da piccola convivo con una malattia progressiva che mi toglie forze, capacità fisiche. Ricordo un momento particolare, quando ero adolescente che, per un intervento chirurgico, sono rimasta lunghi mesi a letto. E questo lo ricordo come un momento buio e luminoso. Buio. Perché in un attimo mi ha annientato ogni autonomia, ho sperimentato la dipendenza dagli altri, ho provato la solitudine. Ma anche luminoso. Perché ho guardato dentro me stessa e ho scoperto la bellezza della vita e anche il coraggio di viverla nonostante tutto. La mia è una vita in salita, perché ogni giorno mi confronto con i limiti fisici e un’autonomia che si riduce. Di fronte ad una nuova difficoltà sperimento tutta la mia fragilità, ansia, paura. Questa lotta inizia perché il mio spirito si ribella, ma il mio corpo parla un’altra lingua. Questa lotta dura fino a quando non riesco ad ascoltare profondamente il mio corpo e ad accogliere quel nuovo limite. Poi mi ritrovo “nuova” e “diversa” da prima, ma sempre io, Antonella.
CLAUDIO
Descrizione delle immagini che compaiono durante il discorso di Claudio.
Claudio è seduto sulla sua carrozzina elettronica. È alto, ha i capelli grigi e indossa abiti azzurri. Attorno a un tavolo alcuni uomini giocano a carte e Claudio è con loro. La scena è incentrata su di lui e mentre ci parla scorrono altre immagini: 1) Claudio mentre percorre in carrozzina elettronica un sentiero tra gli alberi. 2) Un ruscello, piante verdi con frutti rossi, rami, corrente d’acqua. 3) Un ruscello, un bosco, un sentiero immerso nel verde e tra piantagioni.
Conosco la disabilità da una vita, da quando ero bambino. E da 18 anni sono in carrozzina. Ecco, come dicevo ai bambini delle elementari che mi hanno fatto la domanda: “che cos’è il limite?”, userei questa quest’immagine: un imbuto è fatto di due realtà. È fatto di una coppa ed è fatto di un gambo che si restringe e noi nella vita siamo come versati dentro a questo imbuto. Quando l’imbuto si stringe ecco il limite, ecco la sofferenza, ecco il dolore, ecco la difficoltà. Magari si intoppa tutto e non fluisce più la vita dentro all’imbuto. “Come fare?”, dicevo ai bambini, “bisogna sciogliersi”. L’unica realtà che ti aiuta a scioglierti è mettere al centro l’altro, il suo bisogno, il suo desiderio di essere ascoltato, di essere amato. Solo l’amore può scioglierti e farti diventare così liquido da farti superare e varcare anche la soglia stretta del limite.
ANTONELLA
Non tutti desiderano entrare in rapporto con il limite. A volte mi sono trovata a disagio o non accettata, questa è e rimane una ferita. Con gli amici del Laboratorio nello scambiarci queste sensazioni, si è rafforzata in me la scoperta che accogliere i nostri limiti è il segreto per trovare nuova libertà, forza, gioia. È un frutto della vita condivisa, non solo della mia vita.
CLAUDIO
Se vivo la vita ponendo l’altro e la relazione con l’altro al centro della mia esistenza, ecco che probabilmente riesco a capire come mai Dio mi ami così immensamente. Il limite mio è la possibilità di donarmi e di riconoscere la pienezza della libertà dell’altro che si dona a me..
CHIARA N.
Descrizione delle immagini che compaiono durante il discorso di Chiara.
Chiara è una donna, fisioterapista, con i capelli corti e biondi, indossa pantaloni blu e una camicetta bianca. In una sala di fisioterapia sono presenti alcune attrezzature da fisioterapia come uno specchio, un corrimano e una scala. In questo ambiente cammina una donna aiutata da Chiara. È magra, alta, indossa pantaloni e camicetta beige, capelli corti, neri e grigi. Durante il discorso di Chiara, vediamo scene del suo intervento di cura con questa signora e, infine, la spinge su una carrozzina.
Sono fisioterapista e lavoro da parecchi anni in una residenza sanitaria assistenziale con persone anziane e adulti con grave disabilità psicomotoria. Entrare nell’avventura del laboratorio è stato come se mi si aprisse un mondo davanti, del quale prima intravedevo solo una parte. È stato mettermi di fronte al fatto che anch’io devo riconoscere e accettare i miei limiti personali. Con i pazienti sto sperimentando quanto è importante cercare sempre la strada della reciprocità che mi fa scoprire cosa mi ha donato l’altro durante il lavoro.
MARIA DANIELA
Descrizione delle immagini che compaiono durante il discorso di Maria Daniela.
Maria Daniela è una donna dai capelli castani, lisci e corti. Porta gli occhiali e indossa abiti a fondo bianco, con fiori e forme nei toni del beige e del marrone. Parla davanti a un lago e sullo sfondo c’è un edificio tra gli alberi. Durante il suo discorso, scorrono altre immagini: 1) Alberi, un ruscello e un ponte ad arco. 2) Maria Daniela che cammina con il marito davanti alla facciata di una vecchia casa e lungo dei sentieri, dove si vedono anche erba, ruscello e piccoli ponti. 3) Piante acquatiche con fiori gialli nel ruscello. 4) Maria Daniela e suo marito in città, di fronte a un laghetto e davanti a vecchi edifici. 5) Scene all’interno della casa con le sue due figlie che sistemano oggetti in cucina. 6) Due giovani donne che escono di casa portando a spasso un cane. 7) Le figlie che arrivano ad un cancello e vengono accolte da un’altra giovane donna che viene loro incontro.
Sono Maria Daniela. Sono sposata con Paolo da 25 anni e abbiamo 2 ragazze di 14 e 17. Lavoro come programmatrice informatica. Eravamo sposati da due anni e ho perso l’uso del braccio destro in un incidente d’auto. Nel Laboratorio ci confrontiamo, ci scambiamo il nostro vissuto, e lì ho messo a fuoco un paio di cose. La prima è che l’aver accettato il mio limite fin da subito è stato proprio la svolta della mia vita. Per cui quello che io sono oggi, anche quello che ho, dipende proprio da questa esperienza. E poi anche il rapporto con mio marito, con Paolo, con le figlie è stato provato da questo, però si è anche molto approfondito.
GIUSY
Descrizione delle immagini che compaiono durante il discorso di Giusy.
Area aperta con lago, piante verdi e montagne sullo sfondo. In questo ambiente ci parla Giusy, una donna dai capelli castani, lunghi e ricci. Durante il suo intervento vediamo il lago con fiori, alberi e montagne. Sul lago Giusy pratica il canottaggio.
Sono Giusy. Sono sposata con due figli ormai grandi e lavoro come infermiera da più di trent’anni. Da qualche anno però ho dovuto abbandonare il lavoro in corsia per motivi di salute ed è per questo che adesso svolgo un’attività più a contatto con i miei colleghi, piuttosto che con i pazienti. Da quando è iniziato il lavoro con il Laboratorio, mi sono chiesta a che titolo avrei potuto parteciparvi. Io, infermiera, con il mio limite di non poter più lavorare a contatto con i pazienti. Potevo esserci come persona che sente su di sé il limite di non sentirsi sufficiente per poter dare aiuto alla propria sorella non completamente abile. E ancora, potevo essere quella persona che viveva il proprio limite di malattia, il limite di tutte quelle malattie che non sono così evidenti, ma che comunque segnano la vita di tutti i giorni.
MARIA DANIELA
Quando le bambine erano piccole abbracciarle sempre solo a metà non è che era facile. Loro tendevano le manine e io gliene potevo dare una sola. Poi sono cresciute, hanno cominciato andare a scuola, sono cominciate le domande dei compagni di scuola, magari anche un po’ impertinenti. Mi ricordo la più grande che tornava a casa e non aveva le risposte a queste domande. Allora le abbiamo cercate assieme. Le abbiamo trovate in tutte le cose belle che nella nostra famiglia ci sono. Mi ricordo la più piccola, avrà avuto 4 anni e aveva appena imparato ad allacciarsi le stringhe da sola. Io non riesco allacciarmi le stringhe quindi compro solo scarpe senza stringhe. Allora viene e mi dice: “mamma, adesso puoi comprarti tutte le scarpe che vuoi perché ci penso io ad allacciartele”. Adesso sono grandi, sono adolescenti e qualche tempo fa, neanche tanto, mi hanno detto: “sei la mamma più bella del mondo così come sei e non ti vorremmo diversa”.
GIUSEPPE
Descrizione delle immagini che compaiono durante il discorso di Giuseppe.
Giuseppe è seduto ad un tavolo con tanti fogli sparsi recanti schizzi di sculture e disegna. È un uomo dagli occhi chiari e capelli grigi, porta gli occhiali e indossa una camicia azzurra. In giardino, in mezzo a tanta vegetazione, c’è una panca e una sedia. Giuseppe cammina con un bastone, va verso questa sedia, si siede e ci parla da questo luogo. Durante il suo intervento compaiono altre immagini: 1) Sculture con corpi tondeggianti e allungati; 2) All’interno di un atelier Giuseppe organizza diverse sculture (come vasi alti) nei toni sabbia e bianco; 3) Le sue mani si muovono mentre parlano e allo stesso tempo rimangono piegate; 4) In studio vediamo sculture a forma di cappelli, sempre in sabbia e bianco. 5) Giuseppe disegna un bozzetto di una scultura che rappresenta l’abbraccio tra due persone e, in sequenza, viene mostrata questa scultura color sabbia. 6) Angeli bianchi circondano la grotta bruna dove sono Giuseppe, Maria e Gesù bambino. Giuseppe organizza i pezzi che fanno parte di questo presepe. 7) Camminando con il bastone, entra dalla porta di una casa dai muri gialli e dai fiori rossi davanti alle finestre aperte.
Sono Giuseppe. Sono sposato e ho ricevuto in dono tre figli. Sono artigiano e ceramista per scelta. Il limite lo incontro, posso dire tutti i giorni, dal momento in cui mi sveglio, la fatica di alzami, la fatica di fare i primi passi, la fatica di vestirmi. Per me è importante conoscere il mio limite, sapere fin dove posso arrivare. Ma, mi domando, cos’ è il limite? Io penso che il limite fa parte della natura. Istintivamente la prima cosa è quella di rifiutarlo, di negarlo. Il limite sono le difficoltà, sono le mie inadeguatezze, è il mio sentirmi inferiore, il non sentirmi all’altezza, ma anche il limite è la non conoscenza, è la paura, è l’incertezza, ma non solo… anche la tristezza, la chiusura in me stesso, la non speranza, il limite è non sentirmi amato, il sentirmi rifiutato.
GIUSY
Ecco cos’è per me la ricchezza di questo Laboratorio: esserci come sono, trovare nel cammino fatto insieme la forza per illuminare questi nostri passi di vita. I limiti rimangono, non si cancellano, però è come fossero illuminati, trasformati da una strana alchimia.
GIUSEPPE
Io credo che il limite è una risposta inadeguata a un desiderio: “vorrei, ma non ci riesco”. Tanto più grande è la distanza fra il desiderio e la risposta, tanto più grande è la sofferenza, è il disagio che posso provare. Unire il desiderio con la capacità di risposta. O meglio, unire il desiderio con i miei mezzi. La libertà non la trovo nel fare qualsiasi cosa, ma nel poter fare quello che mi è possibile. Amare, andare un po’ oltre, amare il mio limite, andare un po’ oltre a lui. E in questo caso, quando ci riesco, la libertà coincide con la mia realizzazione umana. Con la gioia e con la soddisfazione di una vita piena.
LAURA
Descrizione delle immagini che compaiono durante il discorso di Laura.
Laura guida un trattore in una zona rurale e si avvicina a un edificio giallo con porte arancioni. Ha i capelli corti e grigi, indossa una camicetta arancione e un grembiule bordeaux. Manovra il tuo trattore con un rimorchio carico di grappoli d’uva. Il rimorchio si solleva per lo scarico delle uve. Davanti a una vite Laura è in piedi e ci parla. Durante il suo intervento abbiamo le seguenti immagini: 1) Laura che raccoglie l’uva in vigna, a volte da sola ea volte accompagnata da altre persone; 2) Un grande secchio rosso dove vengono depositate le uve; 3) Fotografia di una gara di corsa con i trattori; 4) Foto di Laura che riceve un trofeo e una prima pagina di giornale con la notizia della sua vittoria; 5) Libreria con molti trofei; 6) Laura che avvia il trattore con un ausilio che l’aiuta a tenere la chiave.
Sono Laura, ho 55 anni, vivo da sola a Cadine, un paese vicino a Trento. Essendo nata in una famiglia di contadini, fin da piccola andavo con mio papà in campagna. La mia grande passione però è il trattore. Fin da piccola, ricordo che il mio papà veniva a prendermi con la moto all’asilo e poi alle elementari e mi portava in campagna per guidare il trattore. Lui ne aveva bisogno e per me era come un gioco. Non vedevo l’ora di compiere i 18 anni per prendere la patente e fare le gare. Per 5 anni ho gareggiato in tutto il Trentino vincendo da subito, diventando subito campionessa regionale di gimcana trattoristica. Avevo la voglia di vivere, la voglia di lavorare e sempre attenta agli altri. A trent’anni ecco il primo impatto con la malattia. Improvvisamente mi vengono dolori articolari alle ginocchia, con male fortissimo, che mi impediscono di camminare e fare le scale. Mi hanno diagnosticato un’artrite psoriasica. Il medico mi dice: “dovrà tenersela per tutta la vita”. Per un attimo ho visto la mia vita crollare. Incomincio visite, medicine, cure. Il primo anno è stato molto duro, difficile. Mi vengono consigliati degli ausili per la vita quotidiana, molto importanti, molto utili. E anche le scarpe fatte su misura, che per me sono importantissime. Io che sono abituata ad arrangiarmi, vedendomi in queste condizioni mi viene anche da piangere.
GIOVANNI
Descrizione delle immagini che compaiono durante il discorso di Giovanni.
L’immagine di una persona con camice bianco che cammina lungo il corridoio di un ospedale. Sul pavimento, davanti a una porta a vetri, c’è scritto Terapia Occupazionale. La porta si apre. A un tavolo con un computer è seduto Giovanni, medico, in camice bianco, con capelli castani e occhiali. Dall’altro lato due donne con capelli corti castani, una vestita di bianco e l’altra di rosso, che parlano tra loro. Si vedono anche le ruote di diverse carrozzine.
Sono un medico della medicina della riabilitazione, specialista. E fin dall’inizio della mia professione sono sempre stato affascinato dal mondo della disabilità, senza capire bene perché mi sentivo attratto. Sono entrato in questo gruppo del limite un po’ come associato, ma strada facendo poi sono stato iscritto a pieno titolo. Perché anch’io ho fatto la mia esperienza di malattia, arrivata improvvisa, inaspettata… Con gli amici del limite, piano piano siamo arrivati anche ad approfondire alcuni elementi della realtà della disabilità. Ogni uomo, infatti, anche se sano, esperimenta durante la sua vita quotidiana momenti di limite. Perché si è stanchi, perché si ha mal di testa, perché si ha litigato con qualcuno, perché si è stati ripresi dal proprio superiore… In momenti così noi non siamo al massimo, lavoriamo a regime più basso, facciamo un’esperienza di limite. Ecco allora che ci sembra che la realtà della malattia, della disabilità, possa considerarsi un libro aperto dove si possono leggere tante cose per la vita dell’uomo. Un libro aperto che abbiamo sempre avuto con noi, ma che in realtà non abbiamo mai letto abbastanza perché presi dalle nostre realtà, dai nostri problemi.
LAURO
Descrizione delle immagini che compaiono durante il discorso di Lauro.
Un parco giochi con un gioco che gira a tutta velocità, diversi palloncini e giocattoli colorati, persone che giocano e una coppia, con un bambino, su una ruota panoramica. Lauro ha i capelli corti castani, porta gli occhiali e un vestito blu. Ci parla seduto davanti al bancone della sua cucina. Nel frattempo, vengono mostrate alcune scene: 1) Coppia che si tiene per mano nel parco mentre i ragazzi giocano sui carri. 2) Scene di carrelli che si scontrano. 3) Una famiglia che cammina tra i giochi. 4) Il padre gioca a palla con suo figlio su un prato.
Mi chiamo Lauro, ho 51 anni e faccio l’infermiere. Abito a Rovigo. Da 4 anni convivo con Rita, dopo un’esperienza matrimoniale di circa 11 anni e da 2 anni facciamo l’esperienza dell’affido: un bambino di 11 anni che ci è stato affidato dai servizi sociali. La mia esperienza del limite è quella di un continuo cadere e rialzarmi, ricominciare, rallentare, riprendere il dialogo, dover recuperare il rapporto.
LAURA
A questo punto della vita pensavo di essere tranquilla, invece un altro colpo forte. Qualche anno fa mi è stato diagnosticato un tumore al seno. Ne parlo anche con gli amici del Laboratorio dove mi sento accettata e capita, e vedo anche negli altri una ricchezza. Come se venisse fuori che la mia vita poteva gridare al mondo che vale la pena vivere. In gennaio 2014 mi viene scoperto un altro tumore, questa volta alle ossa. È un duro colpo, però cerco di reagire subito, avendo fatto l’esperienza forte l’altra volta. Questa forza la trovo un po’ dal mio carattere combattivo, ma anche dalla condivisione con gli amici del Laboratorio. E ho capito che io posso essere un dono per gli altri anche così come sono.
LAURO
Un punto significativo, fondamentale dell’esperienza che ho fatto con il limite è quello della condivisione. Trovandomi con altre persone, comunicando le mie difficoltà, trovo la forza, il modo per ripartire, per ricominciare. Cosa rispondo a chi mi chiede: “cosa ci vai a fare a questo Laboratorio, con chi ti incontri, cosa ti dà?”. Rispondo questo: “La condivisione è una esperienza fondamentale, un’alchimia incredibile che dà luce e dà speranza quando ci si sente in difficoltà”.
MARCO
Descrizione delle immagini che compaiono durante il discorso su Marco.
Una famiglia composta da una coppia e tre bambini è davanti ad un bosco e sullo sfondo si vedono grandi montagne. Il ragazzo più grande è seduto su una carrozzina. A casa, la coppia è seduta in cucina con il frigorifero sullo sfondo. Francesco, il padre, inizia la conversazione e poi si alterna con Patrizia, la madre, e successivamente i fratelli Alberto ed Elisa. Durante la conversazione vediamo: 1) Marco, circondato da un gruppo di persone, che digita sul suo computer con l’aiuto di sua madre. 2) La madre che tiene la mano di Marco mentre il suo dito indice digita sulla tastiera. 3) Il fratello (Alberto) legge uno scritto di Marco. 4) Davanti a una libreria un trofeo, un camioncino rosso e la foto di Marco. 5) Fotografia di Marco con suo fratello. 6) Sullo scaffale un pallone da calcio e la foto di una squadra con la maglia azzurra. 7) Foto di Marco nel campo e alberi sullo sfondo. È con suo fratello e sua sorella, uno per lato. 8) Elisa (sorella) legge un messaggio scritto da Marco. Lei è a un tavolo colorato di rosa. 9) Fotografia di Elisa che bacia Marco. 10) Foto di Marco al suo fianco e in braccio con un uomo adulto, che partecipano al laboratorio.
Francesco (papà): Marco quando è nato subito sono comparse delle difficoltà che con gli anni sono cresciute e la disabilità si è fatta più importante. Non parlava ma a 8 anni è riuscito a comunicare utilizzando un computer.
Patrizia (mamma): Con l’ausilio del computer Marco da allora ha sempre potuto esprimere quelli che erano i suoi bisogni, le sue necessità. Ma anche soprattutto aprirci il suo cuore e farci capire cosa veramente conteneva: un tesoro incredibile.
Alberto (fratello): 13 febbraio 2010: caro Albi, ti faccio tantissimi auguri di Buon Compleanno. Sta a te fare ciò che credi giusto e trovare la tua strada, capendo che ciò che non deve mai mancare in una vita felice, qualunque cosa tu faccia, è la volontà di amare, e la fiducia per lasciarsi amare. Buona festa e buon cammino. Marco.
Elisa (sorella): Battesimo Elisa, 26 settembre 2004. Tra le nuvole tenere di un’incerta primavera è arrivato un batuffolo rosa che, come dono divino, ci ha regalato un nuovo sogno. Ti prego, Gesù, donale di più, di più di un sorriso, di più del paradiso, donale il tuo amore e stringila al tuo cuore e disegnale il futuro in un mondo meno duro. Marco.
Patrizia (mamma): Dall’età di 15 anni poi Marco ha iniziato a frequentare il laboratorio “dal limite di più” fino all’età di 18 anni in cui è partito per il cielo.
CHIARA M.
Descrizione delle immagini che compaiono durante il discorso di Chiara.
Su un sentiero nel bosco Chiara, una donna dai corti capelli neri, guida la sua carrozzina elettronica. Durante la passeggiata, incontra una coppia con un bambino, e continua il suo percorso. In una giornata di sole, Chiara sulla sua carrozzina ammira il panorama delle montagne.
Sono Chiara e abito a Trento. Lavoravo come infermiera professionale nell’Ospedale della mia città fino a quando una serie di eventi mi ha portata “dall’altra parte”. Sono sempre stata portata a questo tipo di professione però, nonostante questo, ho imparato negli anni che ciò che si studia come operatore sanitario, non porta di fatto a quella conoscenza particolare, profonda del dolore, della sofferenza, fino a quando non lo si esperimenta personalmente. Ricordo i miei primi ricoveri in ospedale. Una visuale all’orizzontale, come amo definirla. Da questa prospettiva tutto assume una risonanza diversa. Sei in pigiama, hai lasciato fuori la tua identità, sei diventata un numero, una diagnosi, se hai la fortuna di averla. Hai in abbondanza il tempo. Per osservare, ascoltare, pensare, soffrire, conoscere la solitudine. La giornata è scandita da gesti, sguardi, parole, suoni, odori. Il medico che entra nella stanza viene “radiografato”, automaticamente. L’espressione del volto, il tono della voce, la sua gestualità. Quando lui entra e dice a tutti buon giorno indistintamente, io sento la differenza se lo dice a me avvicinandosi al letto. Perché quel buongiorno è “per me”, io mi sento “persona” in quel momento. O il sorriso che mi regala un infermiere quando mi viene a fare un prelievo, a girare il cuscino, prendere la pressione, è una carezza interiore che ti risuona nel profondo. Il calore di un gesto quando ad esempio mi viene consegnato un referto negativo, oppure mi viene prospettata una realtà futura difficile e anche dolorosa, vale molto più di tanti discorsi, umanizza la cruda realtà.
GIOVANNI
Come diventerebbe, per esempio, il mondo della pedagogia, dell’educazione scolastica, se mettessimo al centro il concetto di limite. Non aiuterebbe le giovani generazioni ad accogliersi, ad accettarsi come sono, con i loro limiti psicologici, fisici. Non aiuterebbe tout court ad accettare l’altro quando lo si incontra? E il mondo della sanità, se mettessimo al centro l’idea del limite, il limite che vive l’operatore sanitario, quando fa fatica a trovare la diagnosi, la terapia, il limite che vive l’ammalato nella sua carne. Non aiuterebbe a portare il rapporto di cura maggiormente verso una realtà di relazione, di reciprocità? E la realtà della politica, come sarebbe vissuta e declinata se avesse al centro questa esperienza del limite, come verrebbe organizzata la convivenza di una comunità umana, come diventerebbe il welfare se avesse al centro il limite?
CHIARA M.
Amavo muovermi, correre, arrampicare e mille altre cose ancora. Però la vita non è solo poesia e mi sono ritrovata dentro un sogno infranto. Ho dovuto raccoglierne i pezzi via via, non senza fatica e alle volte ribellandomi, per cercare di ri-comporre qualcosa di completamente diverso da come l’avrei immaginato. L’incontro con gli amici del Laboratorio ha permesso di maturare dentro di me la consapevolezza dell’importanza di ciò che la società fuori considera ‘diverso’, della ricchezza di ciascuno di noi, delle potenzialità. Mi piace pensarci come un caleidoscopio. Tanti pezzettini di vetro colorati, distinti ma uniti che oltrepassati dalla luce, al minimo movimento, riescono a comporre sempre nuovi e meravigliosi disegni pieni di armonia, pronti per essere donati.
SIGLA FINALE
Descrizione delle immagini che compaiono nel finale.
Nella città storica di Marostica, al centro della piazza, circondata da tribune, due donne (Antonella e Chiara) entrano con le loro carrozzine. Attori in abiti medioevali si esibiscono e il pubblico applaude. I protagonisti di questo film sono sparsi tra il pubblico. Mentre ascoltiamo la canzone, le immagini si spostano tra gli attori e il pubblico. Il gruppo del laboratorio incontra e dialoga con alcuni attori. Dopo un’ultima veduta della piazza e del castello sullo sfondo, lo schermo si dissolve nei titoli di coda.
Trascrizione della canzone finale (autore: Chiara Grillo).
Lungo le nuove terre scorrono gli attimi che hai amato,
gioia profonda che raccoglie in sé la perla del tuo cuore.
E tutto cresce intorno a noi in una sola verità:
resta soltanto l’amore.
In questo canto siamo qui, nella tua nuova libertà:
ali spiegate per volare insieme a te.
La gente passa e vede già quel paradiso che l’amore porta qui dentro di noi.
Sei tu quel canto che scorre tra noi,
sei tu che lasci dietro te la bellezza che hai.
Come d’incanto sei qui nell’anima.