Italia – Unire le famiglie

Mario Sperandini racconta quarant’anni di impegno in seno all’ANFFAS, una delle maggiori associazioni italiane delle persone con disabilità intellettive e relazionali >> VIDEO

RENZO

Mario Sperandini ci parla da Macerata, una splendida città del centro Italia. Da una vita si occupa dei diritti e delle problematiche delle persone con disabilità intellettiva. E’ molto impegnato, anche con incarichi direttivi, in un’associazione che in Italia è molto nota in questo campo: l’ANFFAS (Associazione Nazionale Famiglie e Persone con disabilità intellettive e disturbi del neuro-sviluppo). Mario, puoi dirci in breve qualcosa di te e di come sei giunto ad impegnarti in questo campo?

MARIO

Io sono, come dicevi, Mario Sperandini, papà di due figli: Michela, la più grande, e Massimiliano, il secondo. Io ho incontrato ANFFAS con la nascita di Michela (correva l’anno 1972). Ho incontrato questa associazione che era nata da poco all’interno della nostra città. ANFFAS è nata a Roma nel 1958 su iniziativa di una mamma, la signora Menegotto, tedesca che aveva sposato un ingegnere aeronautico italiano, che stava a Parigi e aveva quattro figli, l’ultimo di questi nato con una disabilità intellettiva grave, Paolo. La famiglia tornò a Roma (perché il marito era ritornato a lavorare a Roma) e a Roma, nel 1958, rispetto alla disabilità intellettiva, trovano il deserto. Per chi ha memoria di quel periodo, la disabilità intellettiva veniva relegata negli istituti se non negli ospedali psichiatrici. Questo era il dato culturale dell’epoca. Maria Menegotto non si rassegna, come dire, all’oblio di Paolo e contatta altre mamme che a Roma vivono la sua stessa esperienza. Donne: qui in ANFFAS le donne hanno una prerogativa importantissima.

Quindi mette insieme queste altre donne e costituiscono l’associazione nazionale ANFFAS, che viene riconosciuta con un decreto del Presidente della Repubblica. Proprio perché c’era questo sentire, questo bisogno, ANFFAS si diffonde veramente in maniera veloce su tutto il territorio nazionale. Si diffonde nei vari territori a seconda delle opportunità, delle possibilità, dell’impegno che i vari familiari hanno, ma la prerogativa iniziale di ANFFAS, di queste donne, era la salvaguardia dei diritti delle persone con disabilità, perché non venissero “escluse”, “recluse” o “segregate nella clausura domiciliare”, perché questo era, come dire, l’andazzo del tempo.

Queste donne non si rassegnano: ripeto, viene con un decreto del Presidente della Repubblica costituita l’associazione e c’è uno sviluppo a macchia di leopardo nel territorio nazionale. Oggi ANFFAS nel suo insieme nazionale ha qualcosa come quasi 200 associazioni locali. Ogni associazione locale è autonoma dal punto di vista gestionale e patrimoniale ma legata e tenuta insieme dagli ideali che ANFFAS si è sempre posta cioè, appunto, la salvaguardia dei diritti. ANFFAS nazionale affida ad ogni associazione locale il marchio ANFFAS sulla scorta di un codice che ci siamo dati. Questo codice va rispettato.

A Macerata – e faccio un salto nella mia città – ANFFAS nasce nel 1967, anche qui su iniziativa di un gruppo di familiari che si mettono insieme e chiedono alle istituzioni uno spazio dove poter dare senso e significato ai nostri ragazzi. Quindi l’Amministrazione Provinciale concede un’ex scuola; si adoperano per rimetterla in ordine, in sesto, e iniziano le prime attività.

Io incontro ANFFAS nel 1973. Michela nasce nell’aprile 1972. Poco dopo, già dalla nascita, Michela evidenzia qualche difficoltà non diagnosticata precisamente, perché non era una sindrome chiara come quella di Down. C’era qualche altra cosa che non andava, ma nessuno riusciva nemmeno a capire cosa fosse. ANFFAS Macerata, dopo la sua nascita, in pratica, oltre a queste piccole attività di tipo occupazionale, avvalendosi magari di familiari volenterosi, di volontari ecc… ha l’intuizione di assumere le prime figure professionali: una psicomotricista, una psicologa e un’altra terapista. Questo fatto ha dato ad ANFFAS Macerata, in quegli anni, negli anni settanta, l’opportunità
di avere un accreditamento sanitario: prima con il Ministero della Sanità, poi con le Regioni. Questo fatto ha permesso di iniziare alcune attività riabilitative.

Ci accostiamo con Michela e con mia moglie Giovanna a questa associazione dove c’era una logopedista che ci era stata indicata per i primi trattamenti logopedici, e qui, come dire, vengo intercettato da alcuni familiari. Io ero (ora sono in quiescenza, non in pensione perché mai si va in panciolle), io lavoravo al Dipartimento di Salute Mentale. Alcuni familiari mi chiesero di poter entrare nel “Consiglio” di ANFFAS, e da quel giorno, per certi versi, io mi occupo appunto di ANFFAS nel suo insieme territoriale poi ho avuto l’elezione già dal 1997 a livello nazionale. Quindi questo è il mio percorso di impegno, che parte dalla presenza di Michela, che nel tempo ha avuto diagnosticata la sindrome di Prader-Willy.

RENZO

Tu che hai quasi 50 anni di impegno in questo ambito potresti parlarci per ore dell’evoluzione sociale e culturale che hai visto, come ci hai accennato, e di cui anche tu con la tua famiglia e i tuoi collaboratori siete stati anche tra i protagonisti. Se dovessi sintetizzarci quali sono ora le principali questioni sul tappeto, le barriere che ancora ostacolano la piena inclusione, le azioni che ciascuno dovrebbe promuovere sul proprio territorio, le priorità insomma, cosa ci dici?

MARIO

Guarda, secondo me le priorità sono di questo tipo: il documento ONU sui diritti delle persone con disabilità, perché direi che questa è, come dire, la “Magna Charta”
che ogni amministrazione ma anche la cittadinanza dovrebbe avere, no? Quella dell’accoglienza, quella dell’inclusione perché questo comporta una crescita anche dal punto di  vista culturale di tutto il corpo sociale. Ecco quindi: il “nulla su di noi senza di noi”, slogan che rappresenta questo “voler essere”, è quello a cui sta lavorando ANFFAS, perché non ci si dimentichi oppure che non si dia risposta a quel bisogno unicamente partendo da un’ottica “ragioneristica” (“se ci sono i fondi lo si può fare se non ci sono non si fa”). Se è un diritto, si deve fare: ecco, questa è la prerogativa, l’elemento di impegno in questo momento particolare, anche perché non prenda corpo e piede l’idea dello “scarto”. Questo è quello che ANFFAS sta facendo in questo momento a livello nazionale e locale, ma in ogni dove c’è un rapporto tra persona, istituzioni, relazioni generali.

RENZO

E’ molto chiarificatore quello che tu dici. Ancora un’ultima piccola domanda per concludere: mi pare che nell’esperienza tua e vostra di Macerata, ma anche di altre Sezioni, si veda come l’impegno sui temi della disabilità, che pare un impegno specifico per una piccola fetta di popolazione, in realtà abbia un impatto positivo sull’intera comunità, sulla città, e anche a livello più generale produca comunità più coese, vivibili e sostenibili. Secondo te è vero questo? Nella tua esperienza, anche a Macerata hai visto la città crescere grazie a questo impegno?

MARIO

Guarda, non c’è dubbio, nel senso che ANFFAS Macerata (per lo meno è questo il mio sentire, il nostro sentire, che ho cercato di portare anche in Consiglio Direttivo e nel rapporto con i collaboratori) è appunto quello di – come dire – ANFFAS non è controparte di qualcuno: è un’associazione che vuole mostrare tutti i giorni con il suo agire che la disabilità può essere un grande valore se l’insieme del corpo sociale sa riconoscere questo valore.

Ci siamo impegnati nel tempo ad avere rapporti di un certo tipo con le istituzioni: per esempio abbiamo preteso in Consiglio Comunale che venisse fatta una mozione per prendere come paradigma gestionale, per esempio, il documento ONU sui diritti delle persone con disabilità. E’ stata accolta, e quindi i Servizi Sociali, quando debbono aprire un servizio o fare qualcosa, il primo interlocutore per loro è ANFFAS, che sedendo al tavolo di concertazione aiuta a stabilire cosa sia meglio fare per questo o per quello, e noi ci rendiamo disponibili ad agire insieme alle istituzioni, quindi non “controparte” ma “parte”  per “sanare” questo corpo sociale.

Perché è anche l’obiettivo di ANFFAS portare questo messaggio, questo “seme” che fa crescere una cultura dell’accoglienza. Noi in questi anni abbiamo fatto queste battaglie, questo impegno, mettendo tutta la passione e lo sforzo che deriva dall’essere anche genitori, familiari, alle volte facendo degli sbagli incredibili, ma è così: chi non fa non sbaglia. E poi riconvertendo. Però la linea, il Nord, la direzione è quella di avere a cuore la collettività, e non solo lo specifico della disabilità. Questo è l’impegno che tutti i giorni cerchiamo di mettere nel nostro  agire, nel nostro essere.

RENZO

Grazie, Mario per la tua testimonianza.

MARIO

Grazie, grazie a te e buona giornata.